E SE NON FOSSERO COSÍ TERRIBILI I “I TERRIBLE TWOS”? SCOPRIAMO IL MESSAGGIO EVOLUTIVO DEI “CAPRICCI”

Se li chiamano “i terrible twos” ci sarà un perché… e lo sapete bene se come me, siete genitori alle porte del secondo compleanno del proprio cucciolo.

Accanto a momenti d’infinita tenerezza e a grandi dimostrazioni d’amore le vostre giornate, con grande probabilità, saranno costellate da tanti no, pronunciati con grande enfasi e convinzione, infinite dimostrazioni di ostinazione fino ad arrivare a scenate magistrali, arricchite da pianti, calci pugni… il tutto mentre il vostro piccolo è platealmente steso per terra, poco importa se siete a casa, al supermercato o al parco giochi. O forse un po’ importa, perché se ci fate caso, più pubblico c’è, più intense saranno le sue performances.

E a noi genitori cosa succede? Rabbia, Incredulità, impotenza, preoccupazione, fatica…queste sono le sensazioni più frequenti che minano il nostro senso di adeguatezza e la nostra serenità.

Ma allora cosa possiamo fare?

La rete è piena di consigli su come sopravvivere ai terrible twos, troviamo tantissimi suggerimenti e trucchi, alcuni anche validi, per aggirare il problema. Ed è per questo che qui non ne daremo… quello che faremo è provare a capire qual è la loro funzione in ottica evolutiva, sicura che ognuno di voi saprà poi trovare in modo creativo, le strategie giuste per aiutare i propri piccoli a diventare ancora più grandi.

Pronti?

Partiamo da qui: tutto ciò che noi chiamiamo per praticità “capricci”, per i nostri bimbi sono momenti fondamentali della loro crescita psicologica e della strutturazione della loro personalità. Affermano il fatto che i nostri cuccioli stanno crescendo e iniziano a definire la propria autonomia e questo è un evento di cui andare orgogliosi!

Se analizziamo un “capriccio” vediamo innanzitutto una reazione spropositata rispetto ad un motivo ai nostri occhi banale: un giochino non comprato, una maglietta che non è di suo gradimento, la merenda dell’amico che non è come la sua, la richiesta di essere imboccati e chi più ne ha più ne metta! Questi sono i motivi espliciti che scatenano il capriccio. Poi c’è un livello più profondo, nascosto ai nostri occhi, ma spesso anche alla consapevolezza del bambino stesso, un livello appunto dove si cela il vero motivo che ha mandato un po’ in crisi il nostro piccolo.

E qui viene il bello…come facciamo a capire qual è il vero bisogno?

Il nostro compito di genitori prima di tutto è quello di osservare il bambino e porci domande…

Partiamo dalle cose pratiche: “Cosa c’è in questa situazione che non lo rispetta? ”È stanco? Accaldato, affamato? O forse ci sono troppi stimoli? Gli sto proponendo un’attività che non è alla sua portata?”

Poi ci sono delle situazioni nelle quali il vero motivo parte dai bisogni profondi di ogni bambino, che se rispettati, lo aiuteranno a crescere in modo sereno ed equilibrato.

Approfondiamone uno: bisogno di ottenere riconoscimenti1 ben approfondito dallo psichiatra Eric Berne. Grazie agli studi di Spitz 2,sappiamo che fin dalla nascita, uno dei bisogni fondamentali del cucciolo d’uomo è il contatto, l’intimità fisica. Questi stimoli, al pari della necessità del cibo, sono essenziali per uno sviluppo sano.

Da adulti il bisogno di contatto fisico viene modulato e trasformato
in bisogno di riconoscimenti: sguardi, gesti, comportamenti, parole che ci fanno capire che l’altro ci ha riconosciuto e preso in considerazione.

I riconoscimenti sono intesi come nutrimento vitale, paragonabile al cibo: se non li otteniamo ci sentiamo deprivati. Nell’infanzia si prova ogni tipo di comportamento per scoprire quello che può soddisfare il proprio bisogno di carezze3( cosí sono chiamati i riconoscimenti in Analisi Transazionale) e quando si rivela utile si tende a ripeterlo. Intuite il collegamento con i nostri cari capricci?

Il tentativo di trovare risposte al bisogno di riconoscimento è così forte da portare l’essere umano ad “accontentarsi” anche di riconoscimenti poco piacevoli e/o decisamente sgradevoli. Infatti se non si ricevono abbastanza carezze positive, se ne cercano di negative.

Osservando il comportamento dei bambini è facile comprendere quanto essi preferiscano escogitare sistemi per ottenere carezze negative, piuttosto che rimanere nella totale indifferenza.

Questi accenni iniziano a darci alcuni indizi sul significato dei capricci, che quindi possono essere intesi come uno dei modi che il bambino utilizza per ottenere riconoscimenti, anche se negativi e poco piacevoli. Il bambino ci sta dicendo ”Ehi guardami, sono qui…ho bisogno che tu mi veda e ti dedichi a me, non ce la posso fare senza di te!”

Ora sta a me farvi una domanda…non sarebbe tutto più semplice se tutti noi ci permettessimo di chiedere direttamente le attenzioni di cui abbiamo bisogno? E non parlo solo dei bambini, anzi… L’idea è un po’ questa: se impariamo a chiedere apertamente ciò di cui abbiamo bisogno, il nostro esempio sarà educativo per i nostri bambini. Di conseguenza quando avranno bisogno delle nostre attenzioni, potranno chiedercele senza dover ricorrere a strategie poco funzionali, come i capricci appunto, per soddisfare il loro bisogno. Da piccoli certo sarà difficile per loro, ma con il nostro esempio crescendo diventerà per loro una cosa normale!

Nel prossimo articolo approfondiremo un altro bisogno profondo che attiva i “capricci” dei bambini: è il bisogno di misurare il potere, dei genitori e loro, parleremo quindi dell’importanza delle regole come strumento educativo capace di dare serenità ai bambini.

Nel frattempo però mi raccomando ricordatevi che un bambino che fa i “capricci” è un bambino “sano” che sta attraversando la sua crescita secondo tappe evolutive che piano piano lo porteranno a definire un’identità matura ed equilibrata.

Concedete a vostro figlio la possibilità di fare i “capricci”, gli servono per diventare grande e autonomo e piano piano scegliere la sua strada!

Dott.ssa Elisa Mariani

Pedagogista, Counsellor

Coordinatrice area Età Evolutiva

1 G. Magrograssi, Le carezze come nutrimento, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2003

2 R. Spitz, (1958), Il primo anno di vita del bambino. Genesi delle prime relazioni oggettuali, Giuni Barbera, Firenze 1962

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