Con questo breve articolo vorrei proporre delle riflessioni su un possibile confronto tra due mondi che ormai quasi tutti conoscono, di cui si parla spesso anche sui media, per provare a capire se davvero le conoscenze che abbiamo siano corrette.
Il mondo della Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) e il mondo dell’Adozione.
Partiamo dalle definizioni ufficiali e generali dei due concetti.
Cosa è la PMA? Da definizione del Ministero della Salute, è l’insieme delle tecniche utilizzate per aiutare il concepimento in tutte le coppie, nei casi in cui il concepimento spontaneo è impossibile o estremamente remoto e nei casi in cui altri interventi farmacologici e/o chirurgici siano inadeguati. Attualmente in Italia è regolata dalla legge 40/2004 e consente sia la PMA omologa che eterologa per tutte le coppie eterosessuali.
Cosa è l’Adozione? Da definizione del Ministero della Giustizia, è l’atto che attribuisce a un soggetto (l’adottato) la qualità giuridica di figlio di un altro soggetto (l’adottante) anche se il primo non è stato generato dal secondo. Attraverso l’adozione si costituisce un vincolo giuridico di filiazione tra persone non unite da una relazione biologica. Nello specifico dell’argomento di questo articolo, si intende per Adozione l’istituto giuridico che garantisce al minore in stato di abbandono il diritto ad essere accolto da una famiglia idonea a crescerlo ed educarlo. In Italia l’Adozione è disciplinata dalla legge 184/1983 e successive modifiche e possono ricorrervi le coppie eterosessuali coniugate da almeno 3 anni.
La PMA e l’Adozione entrano in contatto quando, secondo l’art 6 della legge 40/04 che riguarda il consenso informato da sottoporre alle coppie che chiedono di essere sottoposte a procedure medicalmente assistite, esse devono essere informate della “possibilità di ricorrere a procedure di affidamento o di adozione ai sensi della legge 184/83, e successive modificazioni, come ALTERNATIVA alla PMA”.
Ma se guardiamo alla definizione di ALTERNATIVA troviamo che si riferisce all’esistenza di due o più soluzioni differenti al medesimo quesito o problema, e da qui quindi il bisogno di chiarire se davvero la PMA e l’Adozione possano essere considerate misure alternative.
E quindi dobbiamo partire dalla domanda: di che problema stiamo parlando?
Facciamo un primo esame delle leggi che disciplinano questi due mondi, che finalità si pongono e sopratutto che diritti tutelano.
La legge 40/04 ha come finalità la risoluzione dei problemi riproduttivi della coppia, quindi tutela il diritto della coppia di avere un figlio. In tutta la legge non compare nemmeno una volta il termine “minore” o “bambino”. Viene nominato il “nascituro” nella misura in cui viene espresso il diritto ad essere dichiarato figlio una volta nato a seguito dell’esito positivo delle tecniche di PMA.
La legge 184/83 ha come finalità l’adozione o l’affidamento del minore, figura che permane centrale in tutto il testo di legge: si fa quindi riferimento al diritto del minore a crescere nella sua famiglia di origine e, qualora non vi fossero più le condizione atte a garantire il benessere psicofisico del minore, a poter essere affidato a due genitori idonei e divenire loro figlio tramite adozione.
Da dove si parte?
Nella PMA le coppie (in Italia solo eterosessuali, conviventi o coniugate) accedono ad un Centro Specialistico, vengono prese in carico dal punto di vista sanitario dal medico ginecologo specialista in malattie della riproduzione il quale, coadiuvato dal biologo per la parte che riguarda le tecniche di laboratorio come il trattamento dei gameti o degli embrioni, segue la coppia durante il percorso al fine di arrivare ad una gravidanza. Anche se le linee guida ritengono fondamentale che le coppie affianchino al percorso medico un percorso di supporto psicologico, è ancora relativamente poco diffusa la presenza dello psicologo esperto di fertilità in questi Centri. Tutto il focus resta sulla parte medica, sulla riproduzione e sulle possibilità di massimizzare il successo riproduttivo delle coppie.
Nell’Adozione le coppie (in Italia solo eterosessuali e coniugate da almeno 3 anni) depositano la propria disponibilità all’Adozione Nazionale e/o Internazionale presso il Tribunale per i Minorenni di pertinenza e poi attendono di essere chiamate dal Centro Adozioni di riferimento dove un’equipe formata da Assistente Sociale e Psicologo effettua un’indagine psicosociale atta a verificare i requisiti di idoneità della coppia al progetto adottivo. Da notare che non viene fatta alcuna menzione alle difficoltà riproduttive della coppia come “requisito” per accedere alla genitorialità adottiva, il cui unico requisito è l’essere in grado di sostenere un progetto complesso come il divenire genitori di un bambino procreato da altri e portatore di una storia complessa e traumatica. L’accento in questo caso è quindi squisitamente psicologico, quello che conta è il percorso di maturazione emotiva della coppia e dei singoli partner, che vengono invitati a rivisitare la propria storia individuale, la propria esperienza di figlio, la propria storia di coppia esperienza di coniuge e di come l’elaborazione del lutto riproduttivo li abbia condotti a pensarsi genitori per accoglienza invece che per generazione.
Dove si arriva?
Le coppie che ricorrono alla PMA hanno ovviamente in mente l’ottenere una gravidanza, che possa poi evolvere positivamente e portare alla nascita del tanto atteso figlio. Le loro aspettative, i loro pensieri e i loro desideri sono rivolti quasi solo ed esclusivamente alla gravidanza, che per la fatica con cui è stata ottenuta, catalizza tutte le energie emotive della coppia, il cui unico pensiero è quella di tutelarla e di arrivare al momento del parto. C’è poco spazio per pensare alla genitorialità e al raccogliere quelle risorse emotive che poi serviranno per costruire il legame col figlio, i cui bisogni psicologici quasi mai vengono immaginati prima della nascita.
Le coppie che si affacciano al mondo dell’Adozione devono per forza avere in mente il bambino, la cui storia di vita prima del momento dell’incontro caratterizza anche i suoi bisogni emotivi e psicologici. Il genitore tramite adozione deve diventare genitore molto tempo prima dell’incontro col bambino, e il suo percorso di preparazione è costellato di colloqui psicologici, percorsi di preparazione, letture di libri sulle storie dei figli adottivi, serate di approfondimento sui traumi, gruppi di confronto con altre coppie e soprattutto una attesa che non può essere definita a priori. Non è dato sapere se chi arriverà sarà maschio o femmina, se avrà 30 giorni oppure 4 anni, se avrà la pelle chiara o scura, se avrà conosciuto la sua famiglia di origine oppure no… e tante altre incognite.
Quindi, di che problema stiamo parlando?
Appare chiaro che la risposta non sia univoca, perché pur con il pensiero di un bambino sullo sfondo, per la PMA parliamo di difficoltà riproduttive e per l’Adozione parliamo di genitorialità. Di fronte alla difficoltà riproduttiva la grande maggioranza delle coppie si rivolge alla PMA come percorso elettivo e solo in un secondo momento, per motivazioni personali e/o mediche, rinuncia alla ricerca della gravidanza e si pensa genitore di un bambino generato da altri ma il passaggio non è immediato, né tanto meno scontato né soprattutto così automatico.
Se davvero PMA e Adozione fossero ALTERNATIVE la transizione dall’uno all’altro non richiederebbe il tempo e la ristrutturazione psicologica che invece sono necessarie per passare dal desiderio di fare un figlio alla consapevolezza di poter diventare genitori di un figlio nato da altri.
A cura della dott.ssa Francesca Boracchi, psicologa e psicoterapeuta
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