Il 10 giugno 1981 verso le sette di sera, il piccolo Alfredo Rampi di sei anni cadde in un pozzo artesiano largo 30 cm e profondo 80 metri a Vermicino, poco lontano da Roma.
Come dimenticarlo.
Avevo quattordici anni, ricordo le dirette infinite, gli occhi lucidi di mia mamma davanti alla TV, la vocina di Alfredino trasmessa in diretta, Pertini corso sul luogo della tragedia, tutti i tentativi di salvarlo, la disperazione e l’impotenza, la voce del cronista coperta dal rumore delle ruspe che scavavano la galleria parallela.
In quel giugno del 1981 la televisione ha sfondato con prepotenza, per la prima volta, le barriere oscure del dolore con un solo mezzo di ripresa.
Non sapevo ancora nulla della psicologia, del trauma vicario, del disturbo post-traumatico da stress…
La Psicologia dell’emergenza è un ambito della psicologia che opera prima, durante e a seguito di eventi critici improvvisi e imprevedibili, ossia in tutte quelle situazioni fortemente stressanti che mettono a repentaglio il benessere del singolo individuo di una comunità o di un intero Stato.
La psicologia in situazioni di emergenza ha costituito per me la possibilità di poter fare un’esperienza in continuità con la mia vocazione di impegno civile che fosse al tempo stesso sostenuta da competenze professionali specifiche.
Il “campo” d’azione dellə psicologə dell’emergenza, comprende realtà esterne, come i luoghi visitati o le sofferenze incontrate, sia dimensioni che attengono al proprio mondo interno: le emozioni, le risonanze più profonde ma anche il suo “sistema decisionale”, le sue strategie di adattamento e, non ultima, la motivazione.
Alla fine dei conti l’obiettivo è di cercare di avvicinare, pur nel rumore circostante, l’individualità della Persona. Mettere al centro dell’intervento il soggetto comporta il porsi in “presa diretta” con le Persone e gli eventi, questa deve essere una scelta consapevole.
Stare in presa diretta con le Persone comporta l’assunzione di un linguaggio diretto, che non si nasconde dietro terminologie tecniche.
Ritengo che per incontrare l’Altro, la competenza psicologica fondamentale, senza la quale nessuna delle altre ha senso, sia la capacità di trarre piacere profondo dalla relazione.
Unə psicologə o unə psichiatrə che si accinge a operare in un intervento in ambito d’emergenza non può permettersi approssimazioni ed ecclettismi. L’integrazione critica è una cosa ben diversa dall’accumulo di “cose” incongruenti.
È necessario essere sempre consapevoli di quello che si fa, del perché lo si fa, di quale prospettiva metateorica sottenda la prassi che si utilizza.
Quindi, anche nel settore della psicologia dell’emergenza, e doveroso fermarsi un attimo a pensare prima di lanciarsi nel fare, è doveroso sapere prima di sperimentare, ma è soprattutto doveroso “essere” prima di intervenire.
“Qualificati” significa che non ci si possa basare solo su una generica competenza clinica “standard“, ma che tale competenza dovrebbe essere anche specificatamente articolata sulle dimensioni dell’emergenza: competenza di intervento sulla crisi, competenze cliniche in assenza di “setting strutturati“, competenza di lavoro psicosociale e di comunità, conoscenze di base del sistema di protezione civile (con i suoi delicati aspetti organizzativi, normativi, funzionali).
“Coordinati” significa quindi che non si può, e non si deve, partire “all’avventura”: perché lo psicologo dell’emergenza deve aiutare le Persone disorientate a costruirsi una rappresentazione coerente e significativa di ciò che succede, ma se è lui il primo ad essere “disorientato e confuso” da sigle, procedure e modalità operative per lui “aliene”, di certo non può aiutare i cittadini nella maniera che serve.
In conclusione, desidero sottolineare che se delle tecniche ci sono, ed è giusto e corretto conoscerle e saperle applicare, devono essere comunque un’aggiunta ad un’umanità di fondo rinforzata dalla consapevolezza di sé, dei propri limiti, delle proprie risorse, delle proprie incongruenze.
A cura di Lorenza Magni, Psicologa Psicoterapeuta
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