Spesso associamo l’idea di “bambino regolato” all’idea di un bambino fermo e tranquillo.
La verità è che non è sempre così.
Capiamo quindi cosa si intende per regolazione e come fare a riconoscere questo stato.
Uno stato di regolazione rappresenta una stato di attivazione ideale del nostro sistema nervoso (livello ideale di arousal). Questo livello si manifesta in modo diverso in base alla nostra personalità e alle nostre caratteristiche individuali… alcune persone sono più “energiche”, altre più “tranquille”.
Quello che conta è la predisposizione in cui ci mette questo stato, nell’essere vigili, interessati al mondo esterno e partecipativi.
Questo significa che quando siamo regolati, siamo predisposti a cogliere le informazioni dell’ambiente che ci circonda e rispondere in modo funzionale e adattivo, comunicando e apprendendo da esso.
Se proviamo a pensare alla regolazione come un arcobaleno che va dal viola al rosso, potremmo dire che la soglia di regolazione si colloca sul verde (con leggere oscillazioni da una parte e dall’altra).
Al di fuori di quest’area possono esserci movimenti sia verso un abbassamento dell’arousal (in direzione del viola), oppure un suo innalzamento, verso il rosso.
L’abbassamento porta verso uno stato di ritiro, chiusura e difficoltà di ingaggiamento, mentre l’innalzamento va in direzione di stress e agitazione.
In queste situazioni cambia il modo in cui manifestiamo il nostro disagio, ma in entrambi i casi siamo scarsamente partecipativi al modo esterno, perché molto occupati a “ritrovare prima noi stessi”, per poter rientrare all’interno della soglia funzionale.
2. Da cosa dipende la possibilità di restare all’interno della soglia funzionale?
La capacità di regolazione è una capacità che si sviluppa con la crescita e che deriva dal progressivo riconoscimento delle informazioni interne al nostro corpo (bisogno primari, aspetti della sensorialità, aspetti emotivi), delle informazioni esterne derivanti dall’ambiente e dall’integrazione di esse, in modo da permetterci di formulare una risposta adattiva, in relazione al contesto in cui ci troviamo.
3. Se consideriamo l’autoregolazione in relazione al contesto è chiaro che la sua manifestazione non è sempre uguale
Facciamo due esempi molto generici che possono aiutarci a capire.
Se sono al cinema a vedere un film di Sorrentino, il fatto che io sia tranquillo e in silenzio potrebbe essere indice del fatto che sono attento a quello che sto guardando e coinvolto. Ma se vado al concerto dei Metallica un comportamento tranquillo e silenzioso nella maggior parte dei casi non sarà indice di regolazione; la mia regolazione si manifesterà ad esempio cantando, saltando, alzando il tono della voce e del corpo.
4. Allora come capiamo se un bambino è regolato?
Per capire se un bambino è regolato è importante chiedersi se il suo comportamento in quel momento è adattivo e garantisce la partecipazione a un conteso e se ha una manifestazione che rispecchia le sue intenzioni.
Al contrario un bambino che è disregolato ci apparirà come un bambino in stato di allerta e stress, oppure un bambino in stato di isolamento o ritiro. In entrambi i casi il suo comportamento non sarà funzionale alla partecipazione, perché in quel momento non sarà in grado di gestire e integrare le informazioni interne ed esterne per generare risposte adattive.
Le sue competenze cognitive quindi lasceranno spazio alla reazioni primarie (protocolli automatici di gestione dello stress) con risposte di attacco / fuga / congelamento / estrema accondiscendenza, che impediranno di dare risposte funzionali alle richieste interne o ambientali.
Se è questa l’origine dei comportamenti “disregolati”, viene facile capire come queste reazioni non siano intenzionali, fatte per “attirare l’attenzione”, ma siano del tutto inconsapevoli, volte al solo scopo di provare a ripristinare un equilibrio interno.
Quindi, detto in modo molto semplice, il bambino si disregola quando si trova di fronte a situazioni che per lui sono troppo complesse da poter gestire, che siano esse sensoriali, motorie, emotive, relazionali.
E la difficoltà nella gestione di queste informazioni deriva da una mancata integrazione dei segnali esterni e di quelli esterni e quindi dall’impossibilità di formulare da solo uno strategia o una risposta adattiva.
Facciamo un esempio: ipotizziamo di essere ad una festa e di essere una persona a cui danno particolarmente fastidio i rumori e gli ambienti caotici.
Se sono un adulto, ad un certo punto mi accorgerò di essere un po’ in difficoltà, un po’ in sovraccarico e magari mi cercherò un ambiente un po’ più tranquillo o uscirò a prendere una boccata d’aria: mi sono inconsciamente accorta che rischio di uscire dalla mia soglia di regolazione e trovo un modo per ripristinarla, dato che magari sono molto motivata a stare alla festa.
Se invece immagino di essere un bambino nella stessa situazione, probabilmente non sono ancora in grado di capire da dove viene il mio disagio e non sono in grado di segnalarlo, quindi non riuscirò a stare autonomamente nella mia soglia di regolazione; una volta fuori potrei adottare comportamenti disfunzionali per calmarmi ed essere più suscettibile alle richieste ambientali, ad esempio diventando aggressivo con gli altri, perché in quel momento sono molto in difficoltà.
Proviamo anche a pensare quante volte vediamo i bambini all’asilo che sono “tranquilli”: alcuni di essi sono troppo tranquilli, nel senso che il loro comportamento non è partecipativo, non sanno come coinvolgersi nell’ambiente o con gli altri, sono poco interessati agli stimoli o forse non sanno come fare per partecipare a una situazione di gioco; in questo caso avremmo un bambino “disregolato”, ma nella zona del viola.
È importante osservare e interrogarsi sempre; ognuno ha il proprio funzionamento e in qualità di caregiver è importante comprenderlo per aiutarli a comprendersi.
5. Come facciamo ad aiutare i bambini a strutturare la propria autoregolazione?
Il bambino non nasce automaticamente autoregolato, ma questa è una capacità che ha bisogno di strutturare con il tempo e con il supporto dell’ambiente esterno, attraverso la co-regolazione.
Significa che l’adulto interviene con il suo corpo e il suo rispecchiamento emotivo al fine di supportare e sostenere la regolazione del bambino.
Inizialmente questo intervento è sostanziale: pensiamo al neonato, che ha solo il pianto per manifestare i propri bisogni e alla grande lettura che deve offrire il caregiver per comprendere la necessità e potersi prendere cura di lui.
Progressivamente il bambino fa sempre più esperienze, interiorizza alcune modalità e impara a riconoscere i propri stati e segnalarli in modo più chiaro, per cui l’intervento dell’adulto nel capire la necessità sarà progressivamente sempre minore.
La cosa fondamentale del processo di co-regolazione è la condivisione dell’emozione con l’altro: il bambino percepisce che l’altro vive la stessa tua emozione e lo capisce, ma il suo corpo resta regolato; questo per il bambino è rassicurante: il bambino si sente visto e capito e può beneficiare della calma e sicurezza dell’altro. Questo lo calma anche in relazione alla possibilità di poter vivere ed elaborare le proprie emozioni.
Progressivamente quindi il bambino riuscirà a trovare da solo modalità per far fronte alle situazioni disregolanti, che siano più fisiche/sensoriali o emotive, e raggiungere autonomamente lo stato di regolazione. A questo livello avrà raggiunto la capacità di autoregolazione.
a cura di Laura Sanvito, Terapista della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva
Un laboratorio dedicato a tutti coloro che vogliono concedersi un tempo per sé. Attraverso le pratiche di mindfulness esploreremo e diventeremo più consapevoli delle... Continua a leggere
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