L’abuso emotivo è la forma di violenza più comune e tuttavia spesso misconosciuta, perché ciò che viene colpito non è il corpo ma la psiche della persona.
Non ci sono lividi o graffi, ma ferite dell’anima che pur sanguinando e pulsando sono invisibili ai più, spesso anche a chi sopporta il loro dolore.
Come posso capire se sono vittima di un abuso emotivo?
Ci sono alcuni segnali che sono sempre presenti all’interno di una relazione violenta:
CONTROLLO: l’abusante mette in atto dei comportamenti volti a controllare l’altra persona, mascherandoli da attenzioni, interesse, protezione e amore. Il tentativo di controllo più banale è ad esempio l’eccessiva gelosia che, mascherata da grande amore, mira al tentativo di controllare i movimenti, le frequentazioni e le relazioni del partner instillando al contempo un senso di colpa del “controllato” che viene etichettato come quello che non ama abbastanza (“se mi amassi davvero non faresti così”, “tutti sarebbero felici di essere amati come ti amo io”).
UMILIAZIONE: la comunicazione dell’abusante è quasi sempre volta a sminuire ed umiliare l’altra persona, sia in privato che in pubblico. Una situazione classica è il partner che dice alla propria compagna “non preoccuparti ci penso io tanto tu non ne saresti capace”, tentando di far passare il proprio atteggiamento denigrante come una forma di aiuto nei confronti della partner. Oppure può capitare di sentire un marito sminuire le abilità culinarie della propria moglie quando vengono apprezzate dai commensali con un commento screditante: “ci manca anche che non sappia cucinare visto che sta a casa tutto il giorno”. Ma è un abuso emotivo anche quando un figlio, consegnando la pagella della promozione ai genitori, si sente dire “hai fatto il minimo visto i sacrifici che facciamo per te”
NEGAZIONE: i bisogni emotivi espressi dalla vittima vengono sempre negati e sminuiti, come se non fossero legittimi. Questo comportamento, se messo in atto sin dall’infanzia nella relazione genitori-figli, porta all’incapacità di fidarsi di sé e dei propri pensieri. Frasi come “ma che piangi a fare, non sarà mica la fine del mondo” oppure “mamma che esagerazione” o anche “ma ti pare il caso di fare queste scene” sono abusi emotivi.
RIMPROVERI: l’abusante ha un atteggiamento estremamente rigido nei confronti dei propri partner, che si trovano ad essere costantemente rimproverati come fossero dei bambini. L’abusante tende a fare sentire il proprio potere gerarchico criticando, giudicando e bocciando come sbagliati la maggior parte dei comportamenti del proprio partner, e spesso lo fa con agiti di rabbia e urla che poi giustifica dando la responsabilità all’altro.
SCARICO DI RESPONSABILITA’: l’abusante emotivo pare che non faccia mai nulla di sua volontà, ma che tutte le sue azioni, i suoi atteggiamenti e le sue decisioni siano una conseguenza del comportamento dell’altro. Per cui non sono loro ad essere ossessivi, ma il partner ad essere sbadato, non sono loro ad essere irosi ma il partner a “tirargliele fuori”, non sono loro ad essere prepotenti, ma il partner ad essere debole e così via. Una frase tipica dell’abusante è “io non volevo è stata lei/lui”. E la tipica frase della vittima è “non aveva scelta me lo sono meritato”.
ISOLAMENTO: per agire meglio il suo controllo, l’abusante tende ad isolare la vittima dal suo ambiente, dalla famiglia, dagli amici così che l’unica relazione a contare è quella tra loro due. Diventando l’unico punto di riferimento della vittima diventa anche l’unica voce: l’unica verità è la sua, l’unica narrazione è la sua, l’unica legge è la sua. E spesso per fare questo cerca di convincere la vittima che le altre persone non le vogliono realmente bene, che il rapporto che ha con loro è strumentale o falso. Frasi tipiche sono “non lo vedi che tua madre ti cerca solo quando ha bisogno?”, “certo che le tue amiche parlano male di me, sono invidiose e vogliono allontanarci”, “non ti rendi conto che la tua famiglia ti sta sfruttando?”.
CODIPENDENZA: l’abusante arriva a rendere totalmente dipendente da sé la propria vittima, diventando però a sua volta dipendente dalla vittima per il mantenimento del proprio potere. Si installa così una relazione perversa di reciproca dipendenza dalla quale è molto difficile uscire.
Quali sono le conseguenze di un abuso emotivo?
In primo luogo il senso di colpa, che come una morsa stringe la vita delle vittime che si sentono responsabili della vita del partner. Perché un partner abusante crea nella vittima l’illusione di essere l’unico responsabile della felicità o dell’infelicità del partner, così che la vittima spenderà il proprio tempo inseguendo quell’ideale di perfezione che mai raggiungerà. Perché una delle caratteristiche dell’abusante è quella di alzare sempre di più l’asticella del traguardo, facendo vivere la propria vittima in una infinita rincorsa di qualcosa di irraggiungibile. Tanto più irraggiungibile perché semplicemente non esiste se non nella mente dell’abusante.
Da qui anche la vergogna per essere incapaci di raggiungere l’unica cosa che davvero si vorrebbe: sentirsi amati dal partner, sentirsi capaci di soddisfare i suoi bisogni. Il senso della vergogna è un sentimento che logora e scava dei buchi profondissimi nella psiche delle vittime, e collude col bisogno dell’abusante di restringere il mondo affettivo e relazionale della vittima così da esserne l’unico attore. Una persona che prova una profonda vergogna arriverà anche a non volersi più mostrare al mondo, chiudendosi in sé e nella propria casa, isolandosi in un rapporto simbiotico col partner.
Gli abusi emotivi avvengono in ogni tipo di relazione, molto più frequentemente nelle relazioni amorose, ma possono connotare anche le relazioni amicali o familiari.
Riconoscere di essere vittima di un abuso emotivo può fare la differenza tra il dolore e la felicità, tra la salute psichica e la patologia, e a volte tra la vita e la morte.
Perché di abuso ci si ammala e di abuso si muore.
Riconoscersi vittime è il PRIMO PASSO per CHIEDERE AIUTO, per sentire di MERITARE DI RICEVERE AIUTO.
A cura della D.ssa Francesca Boracchi, psicologa psicoterapeuta
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