Nella mia pratica clinica con le famiglie adottive, soprattutto quando il primo figlio è stato
adottato in un’età compresa tra la nascita e i due anni, osservo spesso il riaffiorarsi del
desiderio di una nuova genitorialità, sia come completamento della propria “idea di
famiglia” sia come “progetto” di dare un fratello/sorella al primo figlio.
Il fatto che siano in particolar modo le famiglie che hanno adottato bimbi piccoli a ricercare
una seconda adozione potrebbe essere spiegato, a mio avviso, dal fatto che al momento
in cui si inizia a pensare alla seconda genitorialità, il primo figlio è di solito intorno ai 3/4
anni e quindi non ha ancora iniziato a fare i conti con la propria storia adottiva: i genitori
sentono quindi come “facile” il percorso di genitorialità sino a quel momento affrontato e si
sentono forti e carichi di energie per accogliere un secondo figlio.
Le coppie che hanno adottato bambini più grandicelli si trovano invece sin da subito a fare
i conti con le sfide dell’adozione, relative sia alla storia abbandonica del bambino che ai
probabili eventi traumatici precedenti l’adozione, che sin da subito vengono portati dai
bambini all’interno del proprio nucleo famigliare; comprensibile quindi che ci sia poco
spazio per accogliere un’ulteriore “storia” e che tutte le energie siano dedicate alla
costruzione di un legame di attaccamento e appartenenza con un bambino che arriva con
tutta una serie di sintomi post-traumatici (esplosioni di rabbia, riattivazioni traumatiche,
possibili difficoltà di apprendimento scolastico, paure, fatica a fidarsi e ad affidarsi).
Al riaffiorarsi del nuovo desiderio di genitorialità le coppie mettono in moto l’iter che ha
consentito loro di diventare genitori la prima volta, fiduciosi che “essendoci già passati”
tutto sia noto e semplice. Si rivolgono quindi nuovamente al Tribunale per i Minorenni di
competenza, presentano la loro disponibilità all’adozione nazionale o internazionale o ad
entrambe, e attendono la convocazione dell’Equipe del Centro Adozioni territoriale.
Quello che è importante tenere presente, però, è che diversamente dalla prima volta, in
cui le tematiche centrali riguardavano la coppie, il suo funzionamento, la motivazione
all’adozione e la conoscenza delle caratteristiche peculiari della genitorialità adottiva, ora
ci si presenta come una famiglia e quindi da qui si parte.
Ora i bisogni e i tempi del figlio già presente sono di primaria importanza.
Intraprendere un cammino adottivo rappresenta infatti per il figlio una sfida su tanti fronti,
che devono essere messi in conto ed affrontati per comprendere se la famiglia sia davvero
pronta all’accoglienza di un secondo figlio.
L’arrivo di un fratellino o di una sorellina, oltre a suscitare fisiologici sentimenti di gelosia,
mette il bambino di fronte alla sua storia, al rivivere aspetti traumatici relativi all’abbandono
e all’emergere di paure di essere “sostituito” dal nuovo arrivato e quindi di subire un nuovo
abbandono. Un fattore protettivo è sicuramente l’avere aiutato il bambino a familiarizzare
con la propria storia, a iniziare a costruire un senso della perdita del legame biologico coi
genitori genetici e a crearsi un’appartenenza familiare basata non sul legame di sangue
ma sul legame di attaccamento e riconoscimento.
Se l’attaccamento del bambino ai genitori in quel momento non è sufficientemente solido,
inserire un fratello/sorella che “rubino” la scena e l’attenzione dei genitori rappresenta una
sfida molto pericolosa, che può mettere a rischio l’equilibrio familiare.
Differente, ma ugualmente importante, è tenere a mente il percorso che deve affrontare un
figlio biologico di fronte all’eventuale arrivo di un fratello/sorella adottivo, con una storia,
delle origini e dei tratti somatici differenti da lui. Capita infatti che l’impegno e il tempo che i
genitori necessariamente devono dedicare al progetto adottivo possa dare l’idea che il
bambino che arriverà sia “più speciale” di lui, che semplicemente “è stato desiderato e è
nato”. Anche se il primo figlio è biologico bisogna prestare molta attenzione alla sua
capacità di accoglienza del nuovo arrivato.
Teniamo inoltre conto che differentemente da quello che accade nella nascita biologica,
quando il bambino viene informato dell’arrivo del fratello/sorella quando la gravidanza è
già in atto e si può quindi dare un tempo all’evento nascita, nella fratellanza adottiva i
tempi sono difficili da stabilire a priori e il coinvolgimento arriva sin dai primi momenti, con
un investimento emotivo del bambino che va sostenuto dai genitori. Se infatti la “pancia
che cresce” aiuta il bambino a prepararsi all’arrivo del fratellino/sorellina, nel caso
dell’adozione non ci sono dati di realtà che possono sostenere il bambino nel tempo
dell’attesa, che sappiamo essere molto difficile anche per gli adulti coinvolti. Teniamo poi in
conto che qualora si realizzasse l’adozione nazionale i tempi di inserimento del nuovo
figlio in famiglia sarebbero molto veloci, nell’ordine di una settimana; diversamente l’attesa
per l’adozione internazionale potrebbe rivelarsi così lunga da demotivare il bambino, così
che al momento della partenza per il paese estero si troverebbe comunque impreparato.
Possiamo quindi definire la seconda genitorialità adottiva come un vero e proprio progetto
familiare, al cui centro s’è e resta sempre il primo figlio e l’equilibrio che intorno a lui è
stato creato.
A cura della D.ssa Francesca Boracchi, psicologa psicoterapeuta
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