Adolescenti e comportamenti a cui prestare attenzione

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“Ma come soli???? Sempre in giro….. mai in casa…. Sempre al telefono…. Sempre con qualcuno…..”

Immagino sia spesso capitato di sentire e o dare risposte di questo tipo quando avete sentito associare la parola solitudine all’adolescenza.

Sono esattamente queste risposte che, insieme alla letteratura, testimoniano il bisogno che hanno gli adolescenti oggi di essere perennemente “in contatto e/o connessi” con qualcuno e/o qualcosa, segnale già emerso con prepotenza nel 2012 ma che poi è diventato forte come un rumore assordante dopo la pandemia.

Questo bisogno di essere in contatto chattando o uscendo fa sorgere però anche una domanda: si tratta di un puro e semplice desiderio di comunicare e di avere relazioni intime o parla di un timore di restare soli, abbandonati e rifiutati?

Siamo tutti consci del fatto che la paura della solitudine sia una delle più forti motivazioni che troviamo alla base del nostro comportamento sociale. Quello che forse oggi è un segnale importante, una sorta di evento sentinella, è l’intensità con cui questi timori si manifestano (facendo appunto riferimento per esempio all’iper-connessione).

La scuola superiore è forse la fase di sviluppo maggiormente complessa per gli adolescenti con il tema delle abilità e competenze sociali al primo posto. E’ un momento in cui i cambiamenti la fanno da padrone e i ragazzi si sentono molto più adulti di quanto non lo siano in realtà mentre restano ancorati in maniera molto forte alla loro infanzia e a ciò che per lo ha significato.

Va bene, ma come si fa a capire e a cogliere i segnali in maniera tempestiva?

  • Sicuramente i cambiamenti devono mettere in allerta nel senso di affinare la nostra osservazione degli adolescenti, questo perché cambiare è difficile per ogni individuo ma molto impattanti su un adolescente che già per definizione sta attraversando una fase di evoluzione neurologica e biologica. Tenere monitorate situazioni in cui i minori cambiano scuola, cambiano città, cambiano casa.
  • Nell’ottica di “sperimentare” vanno segnalati i comportamenti che possono essere rischiosi e/o potenzialmente pericolosi per sé e per l’altro (ad es. abuso alcool, sostanze, fumo, gioco d’azzardo, condotte che sfidano i limiti, promiscuità sessuale, ritiro nel mondo virtuale).
  • Rispetto alla frequenza scolastica il ritiro dalle attività di apprendimento, la caduta del rendimento e le ripetute assenze da scuola sono un chiaro segnale di malessere dell’adolescente
  • Ultimo ma non meno importante il ritiro dalle relazioni sociali con adulti e pari.

I cosiddetti comportamenti “strani” degli adolescenti sarebbero dei messaggi: un modo di comunicare agli altri che stanno cercando nuove forme di equilibrio, per potere organizzare l’immagine del Sé e realizzare più adeguate modalità di rapporto con il mondo degli adulti e delle istituzioni come evidenziano gli specialisti.

Questa modalità di comunicazione può risultare inadeguata all’adulto che appartiene al contesto di riferimento dell’adolescente e quindi rischiare di non essere decifrata come si dovrebbe. Ciò rischia di produrre reazioni “insensate”, poco funzionali che stimolano a loro volta risposte inadeguate, che, invece di ridurre l’agito, lo amplificano. Si cadrebbe così in un circolo vizioso di domande-risposte-controrisposte, ripetute all’infinito, secondo lo schema di “comunicazione disfunzionale” ben chiaro ai teorici della comunicazione sistemica.

Quindi cosa possiamo fare?

Provare a detendere le situazioni di escalation può essere d’aiuto in queste situazioni,  cercando poi il momento più opportuno per riprendere quanto accaduto e trovare un punto di incontro per mediare tra le varie parti.

Se però vi accorgete che la gran parte degli scambi tra voi e i vostri figli adolescenti è caratterizzato da questa forma disfunzionale e non riuscite a trovare la chiave per disinnescarle e attivare modalità più funzionali, potete rivolgervi a un professionista ad esempio ad un pedagogista o una psicologa dell’età evolutiva per capire insieme come fare.

 

articolo a cura di Alessandra Borrello, psicologa e psicoterapeuta

 

 

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